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LE INNOVAZIONI DOPO LA RIFORMA DEL CONDOMINIO

La riforma del condominio entrata in vigore a giugno di quest’anno ha apportato importanti novità in tema di innovazioni. Andiamo però con ordine.

Posso essere definite “innovazioni” tutte le opere, in relazione alle quali sussista l’interesse della maggioranza dei condomini all’esecuzione, che determinino il mutamento di destinazione o una modifica sostanziale del bene comune. Devono, quindi, ritenersi escluse dalla disciplina in esame le opere di manutenzione sia ordinaria e straordinaria.

Il primo comma dell’art. 1120 c.c. prevede la necessità di due requisiti per all’approvazione da parte dell’assemblea di un’innovazione: la delibera deve essere approvata maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 co. 5 (maggioranza dei partecipanti al condominio e di 2/3 del valore dell’edificio) e deve consistere in un uso più comodo della cosa comune o nel maggior rendimento della cosa stessa.

Dopo l’entrata in vigore della Riforma del Condominio, è stato modificato il secondo comma dell’art. 1120 c.c., stabilendo la necessità di un diverso quorum (maggioranza dei condomini intervenuti in assemblea ed almeno la metà dei millesimi di proprietà del condominio) in caso di innovazioni aventi specifici oggetti:

  1. opere ed interventi volti a migliorare le sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;
  2. opere ed interventi idonei ad eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico, per realizzare parcheggi al servizio delle unità immobiliari e per la produzione di energia elettrica mediante l’utilizzo di fonti rinnovabili;
  3. installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro flusso informativo, anche da satellite o via cavo.

L’amministratore, anche a richiesta di un singolo condomino, deve convocare l’assemblea entro 30 giorni dalla richiesta e chi richiede l’intervento deve indicare le modalità di intervento.

Resta, a seguito della riforma, il divieto alle innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità e sicurezza del fabbricato, o che possano alterare il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso comune o al godimento anche di un solo condomino.